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Poliziano, Il.

Pseudonimo di Àgnolo Ambrogini. (dal nome latino del suo paese natale, Mons Politianus). Umanista e poeta italiano. Trasferitosi a Firenze in seguito all'uccisione del padre, frequentò lo Studio fiorentino seguendo le lezioni di C. Landino, G. Argiropulo, C. Andronico e M. Ficino e fu accolto in casa Medici come precettore di Piero e segretario di Lorenzo; grazie alla precoce padronanza della lingua greca e all'eleganza dei suoi primi versi, greci e latini, si impose all'attenzione dei dotti e fu subito apprezzato nell'ambiente mediceo. Dopo la traduzione in esametri latini dei libri dell'Iliade, dedicata a Lorenzo e iniziata nel 1470, cominciò a comporre poesie volgari di intonazione popolareggiante, rivolgendo al tempo stesso la sua attenzione alla grande poesia volgare duecentesca e trecentesca, come dimostrano l'epistola premessa alla Raccolta Aragonese (1476) e il poemetto in ottave Stanze per la giostra di Giuliano de' Medici (1475). Forse in seguito all'uccisione di Giuliano (1478), P. interruppe il poemetto e cominciò a narrare gli eventi della congiura dei Pazzi, di cui quell'uccisione era all'origine (Pactianae coniurationis commentarium). A causa di dissidi con i Medici, e in particolare con la moglie di Lorenzo Clarice Orsini, lasciò Firenze e partì per un lungo viaggio in Emilia, Lombardia e Veneto, per giungere infine alla corte di Mantova, dove fu ospite del cardinale Francesco Gonzaga. Qui compose, probabilmente nel 1480, la breve azione teatrale Favola d'Orfeo. Riconciliatosi con i Medici, ottenne di rientrare a Firenze, dove fu subito chiamato a ricoprire la cattedra di Eloquenza greca e latina presso lo Studio. Da questo momento si dedicò soprattutto all'attività critica ed erudita, allontanandosi solo in poche circostanze da Firenze e Fiesole: nel 1484 partecipò all'ambasceria fiorentina a Innocenzo VIII; nel 1488 fu a Roma in occasione delle nozze di Piero de' Medici e nel 1491 si recò a Bologna, Ferrara, Padova e Venezia alla ricerca di codici per la Biblioteca Laurenziana. Tra gli studi di filologia classica del P. ricordiamo le prolusioni in prosa (Oratio super F. Quintiliano et Statii Sylvis, Panepistemon, Lamia, Praelectio de dialectica) e, in particolare, le quattro Sylvae in esametri: Manto (1482), incentrata sulla poesia virgiliana; Rusticus (1483), intorno alla letteratura "rustica" di Esiodo e Virgilio; Ambra (1485), su Omero; Nutricia (1486), una storia della poesia. Sempre in versi fu composta la Miscellaneorum centuria prima, raccolta di 100 discussioni su altrettanti problemi di filologia classica (1489); una seconda centuria rimase incompleta, mentre altri problemi filologici furono discussi nel Libro delle Epistole, raccolta in 12 libri e pubblicata postuma (1494), contenente lettere del P. e di umanisti in corrispondenza con lui. Benché P. fosse ammirato dai contemporanei soprattutto per le doti di fine umanista e di elegante poeta latino, non va trascurata la sua produzione poetica in volgare, anticipazione di quella rinascita della letteratura in volgare che avrebbe trovato in Bembo il suo teorico. Le più importanti opere in volgare del P. sono le Stanze e l'Orfeo. Nelle Stanze la poesia del P., alimentata dal desiderio di evasione verso un sopramondo umano, si esprime chiaramente nell'atmosfera contemplativa che circonda l'incontro di Iulio con Simonetta, la ninfa che incarna l'ideale della bellezza perfetta e serena, e nella descrizione del regno di Venere, dove tutte le cose vivono eternamente nella gioia che concede l'amore. Nell'Orfeo, attraverso la narrazione del celebre mito, il poeta ripropone il tema della fugacità inserendo un contenuto non religioso nello schema della sacra rappresentazione e sostituendo al movimento teatrale una grande varietà metrico-ritmica (ottava, terzina, frottola, ballata, stanza petrarchesca, esametro latino) e linguistica (dal latino al parlato popolaresco). Simile è anche il tono delle poesie latine del P., tra le quali ricordiamo le elegie In violas a venere mea dono acceptas e In Lalagen, l'ode In puellam suam e l'epicedio In Albieram Albitiam, tutte contraddistinte dall'uso di materiali linguistici rari e preziosi. Proprio questo amore del P. per la preziosità linguistica lo fece entrare in polemica con il ciceroniano P. Cortesi (come testimoniano alcune lettere dell'epistolario), che riteneva l'imitazione del migliore autore un fondamentale canone stilistico; al contrario, P. rivendicava il diritto di poter attingere il proprio materiale linguistico da qualsiasi fonte (egli predilesse gli autori della tarda latinità), purché fosse poi trasformato con originalità. Con la stessa vastità di orizzonti culturali discusse nei Miscellanea e nelle Epistolae i più svariati problemi filologici inerenti all'esegesi di un testo classico. P. si dedicò anche allo studio filologico di testi giuridici (le Pandette giustinianee), testi di medicina (di Ippocrate, Galeno, ecc.) e testi filosofici di Aristotele (Montepulciano, Siena 1454 - Firenze 1494).